Tutto quello che c’è da sapere sui referendum dell’8 e del 9 giugno

Una guida rapida e chiara per capire il senso dei quesiti su cittadinanza e lavoro di cui si parlerà per il prossimo mese.

 

Domenica 8 e lunedì 9 giugno si vota per cinque referendum abrogativi, cioè con cui i cittadini possono chiedere di eliminare totalmente o in parte una norma: perché siano validi serve che vada a votare almeno la metà degli aventi diritto. Un quesito chiede di modificare le norme sulla cittadinanza e gli altri quattro riguardano il lavoro.

I seggi elettorali saranno aperti dalle 7 alle 23 di domenica, e dalle 7 alle 15 di lunedì. Potranno votare anche i fuori sede che hanno presentato la domanda entro il 5 maggio per votare in un comune diverso da quello di residenza, gli italiani residenti all’estero iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) e quelli che si trovano temporaneamente fuori dall’Italia per motivi di lavoro, studio e cure mediche, a patto che abbiano fatto la richiesta entro il 7 maggio (tutte le indicazioni sono sul sito del ministero degli Esteri).

Il referendum sulla cittadinanza era stato proposto all’inizio di settembre dal deputato Riccardo Magi, del partito progressista +Europa, a cui poi si erano aggiunti diversi altri partiti e associazioni, e aveva raccolto più di 637mila firme in poco tempo grazie a una massiccia mobilitazione online. I quesiti sul lavoro riguardano tra le altre cose il Jobs Act, la legge sul lavoro introdotta nel 2015 dal governo di Matteo Renzi, e alcune norme approvate tra il 2008 e il 2021 sulla responsabilità solidale delle aziende committenti in caso di infortunio e malattia professionale dei lavoratori in appalto. Sono stati proposti dalla CGIL e sono sostenuti da PD, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra. Si sono detti contrari, oltre ai partiti della maggioranza di governo, anche Azione e Italia Viva, il partito di Renzi.

I quesiti saranno su schede ciascuna di un colore diverso e si votano singolarmente (o anche solo alcuni). Di per sé sono piuttosto tecnici, ma riguardano questioni molto concrete e comuni che si possono riassumere e semplificare per capire meglio.

Sulla cittadinanza italiana
L’obiettivo del referendum è ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza regolare necessari per poter chiedere la cittadinanza: una volta ottenuta, questa potrebbe essere trasmessa ai figli minorenni. La riforma riguarderebbe almeno 2,3 milioni di persone in Italia. Più nel dettaglio la proposta è modificare l’articolo 9 della legge 91 del 1992 con cui si è alzato il termine di soggiorno legale ininterrotto in Italia per poter presentare la domanda di cittadinanza. Il quesito non modifica gli altri requisiti per ottenere la cittadinanza italiana, come conoscere l’italiano, avere un reddito stabile e non avere commesso reati.

Va detto che anche ora gli anni non sono mai davvero 10: a questi vanno aggiunte lungaggini burocratiche che spesso aumentano il tempo necessario a ottenere la cittadinanza fino a 3 anni. Per questo nelle locandine dei promotori si legge spesso anche che il referendum servirebbe a passare da 13 a 8 anni di residenza per chiedere la cittadinanza.

 

Sui licenziamenti illegittimi
Il primo quesito sul lavoro punta ad abrogare (quindi annullare) le norme sui licenziamenti che consentono di non reintegrare un lavoratore licenziato in modo illegittimo se è stato assunto dopo il 2015. Più nello specifico, il quesito chiede di abrogare la disciplina sui licenziamenti del contratto a tutele crescenti del Jobs Act, secondo cui le persone assunte dopo il 7 marzo 2015 nelle imprese con più di 15 dipendenti non devono essere reintegrate nel posto di lavoro dopo un licenziamento illegittimo nemmeno se un giudice stabilisce che l’interruzione del rapporto di lavoro era stata ingiusta o infondata.

Adesso è previsto un indennizzo economico tra le 6 e le 36 mensilità di stipendio. Se la norma attuale venisse abrogata, si tornerebbe al sistema che c’era prima dell’entrata in vigore del Jobs Act, cioè quello dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori come era stato modificato dalla cosiddetta “legge Fornero” del 2012, dal nome dell’allora ministra del Lavoro Elsa Fornero durante il governo di Mario Monti. In grande sintesi, per alcuni licenziamenti (come quelli considerati nulli per legge) sarebbe di nuovo possibile il reintegro della persona nel posto di lavoro, oltre al risarcimento economico.

Sul limite dell’indennità per i licenziamenti nelle piccole imprese
Il secondo quesito sul lavoro chiede di eliminare il limite all’indennità per i lavoratori licenziati in modo ingiustificato nelle piccole aziende. L’obiettivo è aumentare le tutele per chi lavora in aziende con meno di 16 dipendenti: al momento in caso di licenziamento illegittimo si può ricevere un’indennità massima pari a sei mesi di stipendio. Con questa riforma non ci sarebbe più il limite delle sei mensilità e l’indennità andrebbe stabilita da un giudice sulla base di una serie di criteri, tra cui la gravità della violazione, l’età, i carichi di famiglia e la capacità economica dell’azienda.

Sui contratti a termine
Il terzo quesito sul lavoro è riferito sempre al Jobs Act e punta a eliminare alcune norme sull’utilizzo dei contratti a tempo determinato, cioè quelli con cui secondo la CGIL lavorano circa due milioni e 300mila persone. Oggi questi contratti possono essere stipulati fino a 12 mesi senza che un datore di lavoro debba indicare un motivo specifico. L’obiettivo del referendum è limitare il ricorso a questo tipo di contratti reintroducendo, tra le altre cose, l’obbligo per i datori di lavoro di indicare una “causale”, cioè il motivo per cui ricorrono a un tipo di contratto a termine e non a tempo indeterminato (al momento la scelta dell’azienda è insindacabile anche in un eventuale giudizio).

Sulla responsabilità dell’imprenditore committente in caso di infortuni
Il quarto quesito sul lavoro vuole aumentare la responsabilità dell’imprenditore committente in caso di infortuni sul lavoro o malattie professionali. Attualmente le norme stabiliscono che negli infortuni il datore di lavoro committente è responsabile in solido con l’appaltatore e i subappaltatori per i danni subiti dai lavoratori che non hanno la copertura assicurativa (INAIL, l’istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, o IPSEMA, istituto di previdenza per il settore marittimo). La legge esclude però questa responsabilità se i danni sono causati da rischi specifici dell’attività dell’appaltatore o del subappaltatore. Il referendum vuole eliminare quest’ultima clausola, estendendo così la responsabilità dell’imprenditore committente.