Bab as-Salam, la ‘Porta della Pace’, così come in arabo viene definito da secoli lo stretto di Hormuz, potrebbe diventare la porta per una guerra regionale allargata con implicazioni globali, non solo sul piano energetico.
Posto all’ingresso meridionale del Golfo Persico, lo stretto di Hormuz si trova su una penisola in territorio dell’Oman affacciata sul tratto di mare diviso in acque territoriali iraniane e omanite.
Per questa strozzatura passa un quarto del traffico globale di petrolio e circa un terzo di quello di gas naturale.
Secondo una stima di Confartigianato dall’ stretto di Hormuz transita oltre un quinto del gas naturale liquefatto. Circa 15 milioni di barili al giorno transitano per Hormuz, “un blocco totale farebbe schizzare il petrolio oltre i 200 dollari” avevano ipotizzato gli esperti l’anno scorso all’acuirsi delle tensioni tra i due paesi.
I percorsi di passaggio sono stabiliti in comune tra Iran ed Oman a seguito di accordi stipulati nel 1975 e regolamentati severamente al fine di evitare collisioni, utilizzando uno schema di separazione del traffico.
I Paesi arabi più interessati sono Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti (che però hanno trovato delle alternative parziali al commercio marittimo via Hormuz) e il Qatar, principale esportatore di gas che è ancora quasi del tutto dipendente dallo stretto. Anche per l’Iran Hormuz è un passaggio fondamentale. Tanto che diversi analisti hanno più volte definito un potenziale blocco dello stretto da parte della Repubblica islamica come un vero e proprio suicidio dell’Iran. Negli ultimi 46 anni, da quando nel 1979 è cambiato il potere a Teheran, in circa 20 occasioni l’Iran ha minacciato di chiudere lo stretto, a partire dai turbolenti anni durante la sanguinosa guerra contro l’Iraq (1980-88).
I momenti di tensione – e di conseguente minaccia di chiusura di Hormuz da parte dell’Iran – si sono registrati con maggior frequenza dal palesarsi della crisi economica mondiale del 2008, con un picco registratosi tra il 2018 e il 2022. In quel periodo l’Iran non ha esitato a prendere di mira, direttamente e tramite i suoi alleati in Iraq e Yemen, interessi petroliferi occidentali negli Emirati e a largo delle coste di Abu Dhabi. Proprio sulla scorta di queste continue minacce, da anni Riad e Abu Dhabi hanno in parte dirottato il traffico di greggio via terra: passando per i più costosi oleodotti che, nel caso saudita, tagliano il regno dal Golfo a est fino al Mar Rosso a ovest e, nel caso emiratino, aggirano Hormuz passando alle sue spalle prima di giungere sulla costa dell’Oceano Indiano. Il Qatar non ha infrastrutture alternative ma da giorni ha messo in allerta le sue navi, chiedendo di ridurre i tempi di transito e di carico del gas. Oltre agli Stati Uniti, possibile bersaglio principale della ritorsione iraniana, ad essere danneggiata dalla chiusura dello stretto sarebbe la Cina. Pechino è il primo beneficiario delle esportazioni energetiche provenienti da Hormuz, in particolare di quelle iraniane.
Fonte: ANSA