Ancora un taglio. La Banca centrale europea ha ridotto il costo ufficiale del credito per l’ottava volta dalla scorsa estate, abbassandolo di 0,25 punti percentuali. Il tasso sui depositi scende così al 2%, quello sui rifinanziamenti principali al 2,15%, quello sui prestiti marginali al 2,40%. Soprattutto, la Bce ha pubblicato nuove proiezioni macroeconomiche trimestrali che segnalano come la fase di contrasto all’elevata inflazione potrebbe essere giunta alla fine. «La maggior parte delle misure dell’inflazione di fondo indica che l’inflazione si assesterà, in modo duraturo, intorno all’obiettivo del 2% a medio termine», spiega il comunicato pubblicato subito dopo la decisione: quanto l’istituto di Francoforte si era imposto. La presidente Christian Lagarde ha spiegato che «si aspetta che l’inflazione ritorni al target nel 2027», l’orizzonte temporale della politica monetaria, ma dopo una flessione al di sotto dell’obiettivo.
Le proiezioni macroeconomiche mostrano così che l’inflazione potrà calare al 2.0% medio annuo nel 2025 (2,3% nelle previsioni di marzo), all’1,6% nel 2026 (1,9% tre mesi fa) per tornare al 2.0% nel 2027. «Le revisioni al ribasso rispetto alle proiezioni di marzo, pari a 0,3 punti percentuali sia per il 2025 sia per il 2026, riflettono principalmente – continua il comunicato – ipotesi più basse sui prezzi dell’energia e un euro più forte». . L’indice core salirà del 2.4% in 2025 (2,2% a marzo) e dell’1.9% nel 2026 e 2027 (rispettivamente 2,0% e 1,9%).
Poco variate le previsioni sull’attivitò economica. Lo staff della Bce indica una crescita media del Pil reale pari allo 0,9 % nel 2025 (invariato rispetto a marzo), all’1,1 % nel 2026 (dall’1,2%) e all’1,3 % nel 2027 (invariato rispetto alle proiezioni precedenti). «La proiezione di crescita invariata per il 2025 – continua il comunicato – riflette un primo trimestre più forte del previsto, combinato con prospettive più deboli per il resto dell’anno».
Il nodo restano i dazi. «L’incertezza che circonda le politiche commerciali dovrebbe gravare sugli investimenti delle imprese e sulle esportazioni, soprattutto nel breve termine», continua la Bce; anche se «il maggiore investimento pubblico in difesa e infrastrutture sosterrà sempre più la crescita nel medio periodo. Redditi reali più elevati e un mercato del lavoro solido consentiranno alle famiglie di spendere di più. Insieme a condizioni di finanziamento più favorevoli, ciò dovrebbe rendere l’economia più resiliente agli shock globali».
La Bce ha elaborato però diversi scenari, in relazione al diverso andamento delle politiche commerciali globali: «Un ulteriore inasprimento delle tensioni commerciali nei prossimi mesi comporterebbe una crescita e un’inflazione inferiori alle proiezioni di base. Al contrario, se le tensioni commerciali si risolvessero con un esito benigno, la crescita e, in misura minore, l’inflazione sarebbero superiori alle proiezioni di base». Per la Bce le tariffe commerciali imposte dagli Stati Uniti costituiscono infatti – come ha più volte spiegato la presidente Christine Lagarde – uno shock sulla domanda che manifesta quindi il suo impatto su attività economica e inflazione nello stesso senso.
I rischi restano orientati al ribasso. Le tensioni commerciali potrebbero frenare le esportazioni e comprimere investimenti e consumi mentre «un peggioramento del sentiment nei mercati finanziari potrebbe tradursi in condizioni di finanziamento più restrittive e in una maggiore avversione al rischio, rendendo imprese e famiglie meno inclini a investire e a spendere».
Fonte: Il Sole 24 Ore